9 Luglio 2018 – Lunedì, XIV del Tempo Ordinario – (Os 2,16.17b-18.21-22; Sal 144[145]; Mt 9,18-26) – I Lettura: Dio ama il suo popolo con un amore intenso, stabile e fedele, proprio come lo sposo ama la sua sposa. Dio si presenta, dunque, come lo sposo, per portare l’umanità ad un legame che non sia di paura o di sottomissione, bensì di amore e fedeltà. Salmo: “Le nostre lodi non aggiungono nulla a Dio ma la lode riempie noi di luce” (Origene). Vangelo: Nel brano odierno del Vangelo due dolori e due storie si incrociano. Una ragazza morta, la figlia di Giàiro, e una donna che ha perdite di sangue da dodici anni. La profonda fede con cui i protagonisti si avvicinano a Gesù nonostante la loro condizione disperata permette di aprire il canale di grazia e di misericordia che donerà loro la totale guarigione.
Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni ed ella vivrà – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, [mentre Gesù parlava,] giunse uno dei capi, gli si prostrò dinanzi e disse: «Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano su di lei ed ella vivrà». Gesù si alzò e lo seguì con i suoi discepoli. Ed ecco, una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni, gli si avvicinò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Diceva infatti tra sé: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata». Gesù si voltò, la vide e disse: «Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata». E da quell’istante la donna fu salvata. Arrivato poi nella casa del capo e veduti i flautisti e la folla in agitazione, Gesù disse: «Andate via! La fanciulla infatti non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma dopo che la folla fu cacciata via, egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò. E questa notizia si diffuse in tutta quella regione.
Riflessione: «Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata». Due miracoli, due contatti con Gesù: uno con la sua veste, per la quale la potenza divina e taumaturgica raggiunse l’emorroissa; e uno con la sua mano, per la quale la sua potenza risuscitò la fanciulla morta. Nella veste di Gesù è figurata la Chiesa, veste inconsutile che ammanta il suo Corpo mistico; nella sua mano vivificante è figurata la potenza che ci fa risorgere dal peccato nel sacramento della Confessione ed il contatto eucaristico con il suo Corpo divino. La Chiesa fa passare a noi la virtù dei meriti del Redentore ed arresta il flusso delle nostre miserie; Gesù Cristo ci ridona la vita e ci nutre col suo cibo. La Chiesa ha un segreto di ineffabile fecondità nella sua vita e si guadagna più in un contatto spirituale con le sue ricchezze liturgiche che con tutti gli sforzi delle nostre energie e con tutti i ritrovati della nostra particolare pietà. L’emorroissa, infatti, non ricavò nulla né dal denaro speso, né dai rimedi dei medici; occorse e bastò un contatto di fede con la veste di Gesù. È deplorevole che le anime intendano così poco la grande fecondità dei più piccoli mezzi di santificazione che ci vengono dalla Chiesa, e l’immensa, l’incommensurabile vita che ci viene dal contatto con Gesù misericordioso nella Penitenza e con Gesù vita nell’Eucaristia. I suonatori funebri e la folla tumultuante intorno alla morta non ridonavano la vita, ma rendevano più straziante il dolore della perdita della fanciulla; così sono i tanti blaterati atti di dolore di chi presume di avere salvezza e redenzione senza il contatto sacramentale con il Cristo. Quando non si ha il contatto con la veste di Gesù, con la Chiesa, l’anima si dissangua, e quando non si è presi da Lui l’anima rimane nella morte. “Bisogna cercare i più frequenti contatti possibili con la Chiesa e con l’Eucaristia; lo ripetiamo e non ci stanchiamo di ripeterlo, perché in questo sta la salvezza delle anime e del mondo. Vorremmo gridarlo con la forza del nostro sangue e della nostra vita, perché troppo si è sperperato in iniziative affatto vivificanti. La Chiesa, la Chiesa, la Chiesa, i Sacramenti, l’Euca-ristia: questo dà la vita! Occorre il tuo contatto, o Gesù, la tua vita, il tuo Corpo e il tuo Sangue per essere veramente tue creature!” (D. R.).
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Giunse uno dei capi… – Giovanni Paolo II (Omelia, 27 Giugno 1982): Non uno, ma due […] sono i miracoli del Signore, che ci sono riferiti nel Vangelo odierno. Ecco Giairo, il capo della sinagoga, che si prostra dinanzi a Gesù per implorare la salvezza e la vita per la figlioletta dodicenne, ormai agli estremi. Ecco l’anonima donna che, sofferente da dodici anni, dice a se stessa: “Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita”. Sono miracoli che, pur diversi tra loro per i particolari e per le circostanze, hanno tuttavia in comune non soltanto il fatto di essere cronologicamente collegati e come “collocati l’uno dentro l’altro”, ma soprattutto una fondamentale e condizionante premessa: cioè la fede viva e lucida di quell’uomo e di quella donna nella potenza sovrana e misericordiosa del Signore Gesù. Non importa che l’uno preghi per la figlia e l’altra per se stessa; non importa che l’uno preghi con aperta, insistente parola e l’altra preghi senza proferire alcun suono esterno. Quel che importa è il fatto che entrambi sono mossi ed internamente illuminati da una fede forte e coraggiosa. E proprio come premio e risposta a questa loro fede segue la duplice guarigione miracolosa: è risuscitata la bambina; è risanata la donna (cfr. Mc 5,21-43).
La morte – Paolo VI (Udienza Generale, 2 Novembre 1966): La [morte], Fratelli e Figli carissimi, è sempre grande, profonda e oscura, come un oceano notturno; e la maggior parte degli uomini rifugge dal fermarvi il pensiero, non avendo nella propria ragione lume sufficiente per non essere terrorizzati. Ascoltiamo, ad esempio, la voce d’un celebre saggio a questo proposito: «Io vedo questi paurosi spazi dell’universo che mi circondano, ed io mi trovo attaccato ad un cantuccio di questa immensità, senza ch’io sappia perché io sia collocato in questo luogo piuttosto che in un altro, né perché il poco tempo che m’è dato da vivere mi sia assegnato a questo punto, piuttosto che in un altro da tutta l’eternità che mi ha preceduto e di tutta quella che mi succede. Io non vedo che estensioni infinite da ogni parte, che mi racchiudono come un atomo e come un’ombra che non dura che un istante senza ritorno. Tutto ciò ch’io conosco è che devo ben presto morire; ma ciò ch’io più ignoro è questa morte stessa, a cui non mi è dato sfuggire» (Pascal, Pensées, 194). Ma ringraziamo la nostra religione, che non solo toglie l’angosciosa paura che circonda il mistero della morte, ma ci educa altresì a guardarla con sereno realismo ed a trarne indispensabili insegnamenti per ben valutare ogni cosa del nostro transito nel tempo e per avere dei nostri Morti qualche consolante notizia. La religione fa della morte una lampada: essa rischiara quanto basta i problemi circa la sopravvivenza dell’uomo oltre la sua fine temporale, così che questa vita temporale non sia accecata dal dubbio e sconvolta dalla disperazione, ma acquisti invece il suo senso escatologico e il suo pieno significato morale; essa ci fa pazienti e sapienti a superare ogni smarrimento nel dolore, e ogni arbitraria e miope filosofia; essa ci stimola a bene vivere e ci conforta alla ricerca e all’attesa d’una futura comunione con Cristo e con le persone che ci furono care; offre insomma una visione generale dell’esistenza nostra e del mondo, che rinfranca lo spirito in un incomparabile equilibrio di sentimenti e di pensieri, e gli infonde un senso profondo di gratitudine e di ammirazione verso il Dio vivo, Creatore dell’universo e Padre nostro onnipotente.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Le prese la mano e la fanciulla si alzò – “Il Verbo di Dio, immateriale e privo di sostanza corruttibile, si stabilì tra noi, anche se prima non ne era lontano. Nessuna regione dell’uni-verso infatti fu mai priva di lui, perché esistendo insieme col Padre suo, riempiva ogni realtà della sua presenza. Venne dunque per amore verso di noi e si mostrò a noi in modo sensibile… Preso da compassione per il genere umano e la nostra infermità e mosso dalla nostra miseria, non volle che rimanessimo vittime della morte. Non volle che quanto era stato creato andasse perduto e che l’opera creatrice del Padre nei confronti dell’umanità fosse vanificata. Per questo prese egli stesso un corpo, e un corpo uguale al nostro, perché non volle semplicemente abitare un corpo o soltanto sembrare un uomo. Se infatti avesse voluto soltanto apparire uomo, avrebbe potuto scegliere un corpo migliore. Invece scelse proprio il nostro… Il Verbo prese un corpo mortale, perché questo, reso partecipe del Verbo che è al di sopra di tutto…, potesse divenire immortale grazie all’inabitazione del Verbo e, mediante la risurrezione, liberare tutti dalla distruzione definitiva. Offrì alla morte in sacrificio e vittima purissima il corpo che aveva preso e, offrendo il suo corpo per gli altri, liberò dalla morte i suoi simili. È giusto che Il Verbo di Dio a tutti superiore offrisse per tutti il tempio del suo corpo pagando il nostro debito con la sua morte. In tal modo l’immortale Figlio di Dio, con tutti solidale per il comune corpo di morte, ha reso immortali tutti secondo la promessa della sua risurrezione. La morte ormai non ha più nessuna efficacia sugli uomini per merito del Verbo, che ha posto in essi la sua dimora mediante un corpo identico al loro” (Sant’Atanasio).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: «… Anche solo toccare il suo mantello, la sua presenza straordinaria, può guarirci. Così anche noi, passiamo la vita a cercare di toccare il mantello del Signore, a riconoscerne il passaggio e vederlo. Il mantello del Signore lo vediamo nei tantissimi segni che egli traccia nelle nostre giornate: il sorriso di un amico, la splendida giornata estiva, due bambini che giocano ai giardinetti… Quante persone, quel giorno, hanno visto passare Gesù? Quanti l’hanno toccato? Una sola persona è guarita, colei che aveva maggiore fede. Il problema non è la realtà, ma ciò che in essa vi cogliamo. Donaci Signore, all’inizio di questa settimana estiva, lo sguardo del cuore, la capacità di vedere almeno il suo mantello. E la sua presenza guarirà la nostra vita, toglierà la nostra tristezza, risveglierà il fanciullo che abita dentro di noi… Donaci, o Signore, l’audacia di toccarti, solo il lembo del tuo mantello; donaci il coraggio di avvicinarci a te con la nostra povera preghiera; donaci la fiducia degli umili, di coloro che afferrano la tua misericordia, di coloro che solo in te sperano. E noi saremo guariti. Amen!» (Rate This).
Santo del giorno: 9 Luglio – Santa Veronica Giuliani, Vergine: Veronica Giuliani, al secolo Orsola, è una delle più grandi mistiche della storia. Ebbe numerose rivelazioni e ricevette le Stimmate. Nata a Mercatello sul Metauro, presso Urbino, nel 1660, visse cinquant’anni nel monastero delle Clarisse di Città di Castello. Entratavi 17enne, vi morì nel 1727, dopo essere stata cuoca, infermiera, maestra delle novizie e badessa. All’autopsia risultò che il cuore era trafitto da parte a parte. Dopo aver ricevuto le piaghe della Passione di Cristo, infatti – rivela nel diario spirituale – «piansi molto e con tutto il mio cuore pregai il Signore di volerle nascondere agli occhi di tutti». Nulla sapremmo delle esperienze di Veronica, se il direttore spirituale non le avesse ordinato di trascriverle. Lo fece per 30 anni e il risultato è il «Tesoro nascosto», pubblicato in 10 volumi dal 1825 al 1928. Morì nel 1727, dopo 33 giorni di malattia. È santa dal 1839.
Preghiamo: O Dio, che nell’umiliazione del tuo Figlio hai risollevato l’umanità dalla sua caduta, donaci una rinnovata gioia pasquale, perché, liberi dall’oppressione della colpa, partecipiamo alla felicità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…