6 Luglio 2018 – Venerdì, XIII del Tempo Ordinario – (Am 8,4-6.9-12; Sal 118[119]; Mt 9,9-13) – I Lettura: Amos scuote la coscienza dei ricchi, ricorda loro che sfruttando i poveri con ogni ingiustizia, non fanno altro che screditare il loro rapporto tra il Signore e il suo popolo. Per questo la lotta del profeta si estende a una pratica religiosa più preoccupata alle formalità dei riti che alla genuinità della fede, ad una religione connivente con il potere e il guadagno disonesto. Vangelo: Il brano di oggi narra un’altra vocazione: qui non si tratta di pescatori, ma di un pubblicano, cioè un esattore delle tasse al servizio dei Romani, appartenente alla categoria di uomini considerati sfruttatori e strozzini, odiati dal popolo ed esclusi dalla comunità religiosa di Israele. Ancora una volta Gesù non fa distinzione di persone ma accoglie tutti nel suo progetto di salvezza.
Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Misericordia io voglio e non sacrifici – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Segui-mi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Riflessione: «Gli evangelisti evidenziano spesso un particolare della missione di Gesù: Egli esce per le strade e si mette in cammino (cfr. Lc 9,51), “percorre città e villaggi” (cfr. Lc 9,35) e va incontro alle sofferenze e alle speranze del popolo. È il “Dio con noi”, che vive in mezzo alle case dei suoi figli… Anche nel caso della vocazione di Matteo troviamo lo stesso dettaglio: prima Gesù esce di nuovo a predicare, poi vede Levi seduto al banco delle imposte e, infine, lo chiama. Possiamo soffermarci su questi tre verbi, che indicano il dinamismo di ogni pastorale vocazionale: uscire, vedere, chiamare. Anzitutto: uscire. La pastorale vocazionale ha bisogno di una Chiesa in movimento, capace di allargare i propri confini, misurandoli non sulla ristrettezza dei calcoli umani o sulla paura di sbagliare, ma sulla misura larga del cuore misericordioso di Dio. Dobbiamo imparare a uscire dalle nostre rigidità che ci rendono incapaci di comunicare la gioia del Vangelo… Secondo: vedere. Uscire, vedere. Quando passa per le strade, Gesù si ferma e incrocia lo sguardo dell’altro, senza fretta. È questo che rende attraente e affascinante la sua chiamata. Oggi, purtroppo, la fretta e la velocità degli stimoli a cui siamo sottoposti non sempre lasciano spazio a quel silenzio interiore in cui risuona la chiamata del Signore… Il Vangelo, invece, ci fa vedere che la vocazione inizia da uno sguardo di misericordia che si è posato su di me… Gesù ha sfidato i pregiudizi e le etichette della gente; ha creato uno spazio aperto, nel quale Matteo ha potuto rivedere la propria vita e iniziare un nuovo cammino. Uscire, vedere e, terza azione, chiamare… Gesù non fa lunghi discorsi, non consegna un programma a cui aderire, non fa proselitismo, né offre risposte preconfezionate. Rivolgendosi a Matteo, si limita a dire: “Seguimi!”. In questo modo, suscita in lui il fascino di scoprire una nuova mèta, aprendo la sua vita verso un luogo che va oltre il piccolo banco dove sta seduto. Il desiderio di Gesù è mettere le persone in cammino, smuoverle da una sedentarietà letale, rompere l’illusione che si possa vivere felicemente restando comodamente seduti tra le proprie sicurezze» (Papa Francesco, 21 Ottobre 2016).
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Beato chi custodisce gli insegnamenti di Dio – Benedetto XVI (Udienza Generale, 9 Novembre 2011): … ciò che per noi è più importante è la tematica centrale di questo Salmo: si tratta infatti di un imponente e solenne canto sulla Torah del Signore, cioè sulla sua Legge, termine che, nella sua accezione più ampia e completa, va compreso come insegnamento, istruzione, direttiva di vita; la Torah è rivelazione, è Parola di Dio che interpella l’uomo e ne provoca la risposta di obbedienza fiduciosa e di amore generoso. E di amore per la Parola di Dio è tutto pervaso questo Salmo, che ne celebra la bellezza, la forza salvifica, la capacità di donare gioia e vita. Perché la Legge divina non è giogo pesante di schiavitù, ma dono di grazia che fa liberi e porta alla felicità. «Nei tuoi decreti è la mia delizia, non dimenticherò la tua parola», afferma il Salmista [v. 16]; e poi: «Guidami sul sentiero dei tuoi comandi, perché in essi è la mia felicità» [v. 35]; e ancora: «Quanto amo la tua legge! La medito tutto il giorno» [v. 97]. La Legge del Signore, la sua Parola, è il centro della vita dell’orante; in essa egli trova consolazione, ne fa oggetto di meditazione, la conserva nel suo cuore: «Ripongo nel cuore la tua promessa per non peccare contro di te» [v. 11], è questo il segreto della felicità del Salmista; e poi ancora: «Gli orgogliosi mi hanno coperto di menzogne, ma io con tutto il cuore custodisco i tuoi precetti» [v. 69]. La fedeltà del Salmista nasce dall’ascolto della Parola, da custodire nell’intimo, meditandola e amandola, proprio come Maria, che «custodiva, meditandole nel suo cuore» le parole che le erano state rivolte e gli eventi meravigliosi in cui Dio si rivelava, chiedendo il suo assenso di fede [cfr. Lc 2,19.51]. E se il nostro Salmo inizia nei primi versetti proclamando “beato” «chi cammina nella Legge del Signore» [v. 1b] e «chi custodisce i suoi insegnamenti» [v. 2a], è ancora la Vergine Maria che porta a compimento la perfetta figura del credente descritto dal Salmista. […] Certo, Maria è beata perché il suo grembo ha portato il Salvatore, ma soprattutto perché ha accolto l’annuncio di Dio, perché è stata attenta e amorosa custode della sua Parola. Il Salmo 119 è dunque tutto intessuto intorno a questa Parola di vita e di beatitudine. Se il suo tema centrale è la “Parola” e la “Legge” del Signore, accanto a questi termini ricorrono in quasi tutti i versetti dei sinonimi come “precetti”, “decreti”, “comandi”, “insegnamenti”, “promessa”, “giudizi”; e poi tanti verbi ad essi correlati come osservare, custodire, comprendere, conoscere, amare, meditare, vivere. Tutto l’alfabeto si snoda attraverso le 22 strofe di questo Salmo, e anche tutto il vocabolario del rapporto fiducioso del credente con Dio; vi troviamo la lode, il ringraziamento, la fiducia, ma anche la supplica e il lamento, sempre però pervasi dalla certezza della grazia divina e della potenza della Parola di Dio.
Alla chiamata di Gesù, Matteo risponde all’istante: “egli si alzò e lo seguì” – Benedetto XVI (Udienza Generale, 30 Agosto 2006): La stringatezza della frase mette chiaramente in evidenza la prontezza di Matteo nel rispondere alla chiamata. Ciò significava per lui l’abbandono di ogni cosa, soprattutto di ciò che gli garantiva un cespite di guadagno sicuro, anche se spesso ingiusto e disonorevole. Evidentemente Matteo capì che la familiarità con Gesù non gli consentiva di perseverare in attività disapprovate da Dio. Facilmente intuibile l’applicazione al presente: anche oggi non è ammissibile l’attaccamento a cose incompatibili con la sequela di Gesù, come è il caso delle ricchezze disoneste. Una volta Egli ebbe a dire senza mezzi termini: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel regno dei cieli; poi vieni e seguimi” (Mt 19,21). È proprio ciò che fece Matteo: si alzò e lo seguì! In questo ‘alzarsi’ è legittimo leggere il distacco da una situazione di peccato ed insieme l’adesione consapevole a un’esistenza nuova, retta, nella comunione con Gesù.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Il Medico delle nostre passioni – «Questo nuovo antidoto l’ha procurato un nuovo Maestro. Non è germogliato dal terreno; infatti, nessuna creatura aveva potuto prevedere come sarebbe stato preparato. Venite, voi tutti che siete incorsi nelle contrastanti passioni dei peccati, adoperate questo antidoto venuto da lontano, col quale si espelle il veleno del serpente, e che non solo fece sparire la piaga delle passioni, ma estirpò anche la causa della terribile ferita… Ascoltatemi, uomini fatti di terra, che nutrite ebbri pensieri con i vostri peccati. Anch’io, come Levi, ero piagato dalle vostre stesse passioni. Ho trovato un Medico, il quale abita in Cielo e diffonde sulla terra la sua medicina. Lui solo può risanare le mie ferite, perché non ne ha di proprie. Lui solo può cancellare il dolore del cuore, il pallore dell’anima, perché conosce i mali nascosti» (Ambrogio).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Matteo capì di essere un peccatore e si fece agguantare dalla grazia, ma oggi, in un mondo dove tutto, o quasi tutto, è lecito, quanti hanno la consapevolezza di essere peccatori? Non è una domanda retorica, con sincerità dobbiamo dire che oggi l’uomo ha perduto il senso del peccato. Quella della perdita del senso del peccato, è una denuncia già fatta da Pio XII, rinnovata da Paolo VI e da Giovanni Paolo II. Ai giorni nostri lo ha fatto anche Benedetto XVI con queste parole: «Sebbene le manifestazioni del peccato abbondino, avidità e corruzione, rapporti rovinati dal tradimento e sfruttamento di persone, il riconoscimento della peccaminosità individuale viene meno. Oltre a questo affievolirsi del riconoscimento del peccato, con il corrispondente indebolirsi del bisogno di ricercare il perdono, si verifica, in definitiva, un affievolirsi del nostro rapporto con Dio… Non sorprende che questo fenomeno sia particolarmente pronunciato in società caratterizzate da un’ideologia secolarista post-illuminista. Laddove Dio viene escluso dalla sfera pubblica, il senso di offesa a Dio – l’autentico senso del peccato – svanisce e proprio quando il valore assoluto delle norme morali viene relativizzato, le categorie di bene o di male svaniscono insieme alla responsabilità individuale. Tuttavia, la necessità umana di riconoscere ed affrontare il peccato non viene mai meno, indipendentemente da quanto un individuo possa, come il fratello maggiore, razionalizzare il contrario. Come ci dice san Giovanni “se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi” (1Gv 1,8). Ciò è parte integrante della verità sulla persona umana. Quando la necessità di cercare il perdono e la disponibilità a perdonare vengono dimenticate, al loro posto sorge un’inquietante cultura del biasimo e della litigiosità». La citazione è lunga, ma valeva la pena farla, almeno per riflettere un po’.
Santo del giorno: 6 Luglio – Santa Maria Goretti, Vergine e martire: “Nacque a Corinaldo (Ancona) il 16 ottobre 1890, figlia dei contadini Luigi Goretti e Assunta Carlini, Maria era la seconda di sei figli. I Goretti si trasferirono presto nell’Agro Pontino. Nel 1900 suo padre morì, la madre dovette iniziare a lavorare e lasciò a Maria l’incarico di badare alla casa e ai suoi fratelli. A undici anni Maria fece la Prima Comunione e maturò il proposito di morire prima di commettere dei peccati. Alessandro Serenelli, un giovane di 18 anni, s’innamorò di Maria. Il 5 luglio del 1902 la aggredì e tentò di violentarla. Alle sue resistenze la uccise accoltellandola. Maria morì dopo un’operazione, il giorno successivo, e prima di spirare perdonò Serenelli. L’assassino fu condannato a 30 anni di prigione. Si pentì e si convertì solo dopo aver sognato Maria che gli diceva avrebbe raggiunto il Paradiso. Quando fu scarcerato dopo 27 anni chiese perdono alla madre di Maria. Maria Goretti fu proclamata santa nel 1950 da Pio XII” (Avvenire).
Preghiamo: O Dio, che ci hai reso figli della luce con il tuo Spirito di adozione, fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore, ma restiamo sempre luminosi nello splendore della verità. Per il nostro Signore Gesù Cristo…