giugno, meditazioni

1 Luglio 2018 – XIII del Tempo Ordinario (B)

Dal libro della Sapienza (1,13-15; 2,23-24) – Per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo: Israele che vive in esilio lontano dalla patria rischia di assorbire e fare proprio il pensiero agnostico e materialistico dei pagani. A fronte di questa mentalità scettica spariva tutto: l’eternità divina e la vita dopo la morte. L’autore del libro della Sapienza cerca di sostenere e ravvivare la fede del popolo eletto, richiamando alla sua memoria la potenza e la misericordia di Dio che si sono manifestate soprattutto nel creare «l’uomo per l’immortalità».

Dal Salmo 29 (30) – Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato: Alla sera ospite è il pianto e al mattino la gioia: «Adamo si nascose nel paradiso di sera. La sera è figura di questa vita di lacrime nella quale gemiamo tutti, da Adamo in poi, ed è anche figura della morte del Cristo. Il mattino è la risurrezione del Cristo, la risurrezione delle anime e il mattino eterno della consumazione dei secoli» (San Girolamo).

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (8,7.9.13-15) – La vostra abbondanza supplisca all’indigenza dei fratelli poveri: San Paolo si è fatto promotore di una colletta a favore della comunità cristiana di Gerusalemme. Solo i credenti di Corinto tentennavano ad aderire per cui la raccolta procedeva con molta lentezza e con poca generosità. L’Apo-stolo a questo punto si vede costretto a scrivere e a ricordare ai cristiani di Corinto l’impegno da loro assunto liberamente. San Paolo si appella all’ideale dell’uguaglianza, un’uguaglianza non imposta o regolata da leggi, ma derivante dall’amore fraterno e dalla mutua condivisione per cui chi ha dona a chi non ha cosicché nella Chiesa non dovrebbe esserci nessun povero. Tutto questo mirando all’esempio splendido del Cristo, il quale da ricco che era si è fatto povero per arricchire tutti gli uomini.

Dal Vangelo secondo Marco (5,21-43) – Fanciulla, io ti dico: Àlzati!: La risurrezione della fanciulla è collocata all’apice di una sequenza di miracoli dall’impatto dirompente: la tempesta sedata (Mc 4,35-41), la liberazione dell’indemoniato geraseno (Mc 5,1-20). La vittoria di Gesù sugli elementi della natura impazziti (Sal 88,10), poi sul potere del maligno, e qui infine sulla morte stessa, mettono in luce la divinità e l’onnipotenza di Gesù, vero Dio e vero Uomo. Allo stupore segue il perentorio ordine da parte di Gesù di non divulgare il miracolo. Il comando, che è in linea con tutti i testi relativi al segreto messianico (Mc 1,25.33-44; 3,12; ecc.), vuole rinviare alla Croce e alla Risurrezione perché soltanto questi eventi possono rivelare la vera identità del Cristo e i doni che Egli è venuto a portare agli uomini (Ef 4,7).

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

Dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.

Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Approfondimento

La morte – E. Ghini (Morte in Schede Bibliche Pastorali, EDB): L’evento della morte, considerato realisticamente dalla rivelazione biblica come il totale venir meno della vita, non è visto in sé, ma sempre in stretta relazione con Iahvé, il Dio vivo: la morte la cui forza di estinzione è rappresentata dallo Sheól, si oppone alla vita come situazione di distacco da Dio nei confronti della pienezza dell’unica «fonte della vita».

Dall’assoluto monoteismo di Israele, legato al Dio unico, deriva la proibizione di ogni culto dei morti, peraltro sepolti con cura e pietà.

L’alleanza, che stabilisce un rapporto non personale ma nazionale fra Israele e Iahvé, fa sì che il problema della morte non assuma carattere drammatico, nella certezza della continuità del popolo, nonostante il venir meno dei singoli. Nel contesto vivo e in rapida evoluzione dell’alle-anza, la morte è un problema poco essenziale: sia che si riconosca ai morti una sopravvivenza d’ombra nello Sheol, sia che si attribuisca loro un sonno eterno nel sepolcro di famiglia, il tema della morte non mette in crisi la fede di Israele. Da qui la rassegnazione con cui la morte è generalmente considerata e la pace con cui è accolta in tarda vecchiaia. Solo la morte precoce pone all’uomo la domanda che trova risposta nella potenza distruttiva del peccato delle origini. Ma poiché al peccato Dio ha sovvenuto con l’alleanza, la morte è superabile attraverso l’obbedienza alle «dieci parole» perché l’obbedienza, come assenso alla consacrazione operata dalla alleanza, è vita.

Israele ha lentamente intravvisto un superamento della morte sia nella conversione sollecitata dai profeti, sia nel personale rapporto con Iahvé che risolve anche, come per i salmisti e i sapienti, il problema della retribuzione. È l’apocalittica però che supera definitivamente la morte, annunciando la risurrezione dei giusti e dei peccatori nel regno escatologico.

Nel NT è soprattutto l’apostolo Paolo che, riprendendo la meditazione di Gen 3, attribuisce la morte al peccato di Adamo. Col peccato e la legge, la morte è la principale potenza cosmica che domina sul mondo schiavo di Satana. Con l’avvento di Cristo, la morte è distrutta. Giovanni vede la morte di Cristo come passaggio da questo mondo al Padre, per un disegno di salvezza; Paolo, come atto di obbedienza che annulla il peccato e la morte nella risurrezione. La morte di Cristo per amore degli uomini è così creazione e nascita.

Per il cristiano, morto con Cristo, la fine della vita è ingresso nella vita stessa di Dio. Ciò esige l’adesione della fede, che già in sé è vita e comunica l’immortalità, mentre la sua mancanza è morte e conduce alla morte seconda della perdizione.

Morendo con Cristo il cristiano rinasce, per l’opera dello Spirito, alla vita nuova che lo rende partecipe dello stesso dinamismo trinitario, compiendo così la trasformazione definitiva nella viva immagine di Dio che, già iniziata nell’economia della figura, sarà completa alla parusia, quando i morti risorgeranno fruendo della vita stessa di Dio.

Commento al Vangelo

La bambina non è morta, ma dorme – Il caso si presentava ormai senza soluzioni: dalla casa del capo della sinagoga erano venuti alcuni a dire che la fanciulla era morta. Non aveva quindi più senso continuare a importunare il Maestro di Nazaret.

Gesù, il figlio di Maria (Mc 6,3), come se non avesse inteso nulla, esorta Giairo, il padre della fanciulla morta, a desistere dal suo timore e a continuare ad avere fede in lui. Poi, con Pietro, Giacomo e Giovanni, che saranno le «colonne della Chiesa» (Gal 2,9), si avvia verso la casa di Giairo.

La scelta dei tre discepoli non è lasciata al caso: più avanti sempre Pietro, Giacomo e Giovanni, e soltanto loro, saranno chiamati ad essere gli unici testimoni privilegiati della trasfigurazione (Mc 9,2) e della preghiera nel giardino del Getsemani (Mc 14,33). Gesù, così come dettava la legge mosaica (Dt 19,15), vuole dei testimoni qualificati che in seguito avessero potuto testimoniare la realtà del miracolo che stava per operare.

La casa di Giairo è sprofondata nel dolore: gli strepiti, i pianti dei parenti e delle prèfiche, accrescono la confusione e il chiasso.

Forse per riportare un po’ di calma, Gesù entrando dice ai piagnoni: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme».

Le parole di Gesù non devono far credere che si tratti di morte apparente, la fanciulla è veramente morta. Gesù non è ancora entrato nella camera dove era stato composto il cadavere della ragazza, ma per il fatto che aveva già deciso di restituire alla vita la figlia di Giairo, il presente stato della piccola è soltanto temporaneo e paragonabile ad un sonno.

Riecheggiano le parole che Gesù dirà quando gli portano la notizia della morte di Lazzaro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo» (Gv 11,11).

Questo linguaggio eufemistico è stato adottato dalla Chiesa che lo ha esteso a tutti coloro che «si addormentano nel Signore» (At 7,60; 13,36; 1Cor 7,39; 11,30), in attesa della risurrezione finale (1Ts 4,13-16; 1Cor 15,20-21.51-52).

Per i brontoloni le parole di Gesù sembrano essere fuori posto: come se Egli avesse voluto irridere il dolore dei genitori, dei parenti e degli amici convenuti in quel luogo di dolore.

La reazione però segnala anche un’ottusa ostilità nei confronti di Gesù e sopra tutto mette in evidenza la mancanza di fede nella sua potenza. È la sorte di tutti i profeti (Lc 4,24). Tanta cecità, pur addolorandolo intimamente, non lo ferma, per cui dopo aver messo alla porta gli increduli piagnoni, prende con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entra dove era la bambina.

Prese la mano della fanciulla, è il gesto abituale delle guarigioni (Mc 1,13.41; 9,27), pronuncia le parole ‘Talità kum’. Sono parole aramaiche, la lingua che parlava Gesù, e Marco si affretta a dare la traduzione forse per evitare che venissero scambiate per qualche formula magica. La guarigione è immediata e istantanea.

La raccomandazione di dare da mangiare alla fanciulla svela la tenerezza di Gesù verso gli ammalati e i sofferenti. Allo stupore segue il perentorio ordine da parte di Gesù di non divulgare il miracolo. Il comando, che è in linea con tutti i testi relativi al segreto messianico (Mc 1,25.33-44; 3,12; ecc.), vuole rinviare alla Croce e alla Risurrezione perché soltanto questi eventi possono rivelare la vera identità del Cristo e i doni che Egli è venuto a portare agli uomini (Ef 4,7).

Oggi, Gesù, pur sedendo alla destra del Padre (Rm 8,34; Ef 1,20), continua ad essere presente nella sua Chiesa: per questa Presenza, i credenti fruiscono della potenza salvifica del Cristo celata misteriosamente nei sacramenti fino a che arrivino «all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13).

Riflessione

Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio – CCC 394-395: La Scrittura attesta la nefasta influenza di colui che Gesù chiama “omicida fin dal principio” (Gv 8,44), e che ha perfino tentato di distogliere Gesù dalla missione affidatagli dal Padre. “Il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo” (1Gv 3,8). Di queste opere, la più grave nelle sue conseguenze è stata la seduzione menzognera che ha indotto l’uomo a disobbedire a Dio. La potenza di Satana però non è infinita. Egli non è che una creatura, potente per il fatto di essere puro spirito, ma pur sempre una creatura: non può impedire l’edificazione del Regno di Dio. Sebbene Satana agisca nel mondo per odio contro Dio e il suo Regno in Cristo Gesù, e sebbene la sua azione causi gravi danni – di natura spirituale e indirettamente anche di natura fisica – per ogni uomo e per la società, questa azione è permessa dalla divina Provvidenza, la quale guida la storia dell’uomo e del mondo con forza e dolcezza. La permissione divina dell’attività diabolica è un grande mistero, ma “noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28).

La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo – La sacra Scrittura è solita chiamare Iahvé «il Dio vivente». Questa verità la cogliamo anche sulle labbra di Gesù quando rintuzzò l’arroganza di alcuni sadducei che negavano la risurrezione della carne: «Vi ingannate [voi, sadducei], perché non conoscete le Scritture e neppure la potenza di Dio. Alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo. Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Non è il Dio dei morti, ma dei viventi» (Mt 22,23-33).

Dio, sorgente della vita, non può quindi aver creato la morte. Per il libro della Sapienza, (cfr. I Lettura), la morte non è soltanto disfacimento fisico, ma anche morte totale, di corpo e anima: «Qui morte assume il significato di morte escatologica; essa rimane certo in relazione alla morte fisica […] e tuttavia la trascende, in quanto essa è già presente in qualche modo nell’esistenza terrena degli empi e soprattutto essa rappresenta, dopo la morte fisica, una condizione di dannazione e di non realizzazione» (Michelangelo Priotto).

 Dio, sorgente di comunione, ha creato l’uomo per l’immortalità che è «stare vicino a Dio» (Sap 6,18).

«Dio non ha creato l’uomo perché svanisca nel nulla o nella infelicità fisica-sprituale, ma lo ha creato per “l’esistenza”, cioè per la vita piena sia fisica che spirituale […]. Unico è il fine per cui Dio ha creato l’uomo: la vita immortale e beata con Dio. Questo soltanto Dio vuole per l’uomo. E per questo Dio ha creato ogni uomo a “immagine della propria natura”, ossia capace di partecipare alla stessa vita divina» (Tiziano Lorenzin).

Un’altra verità lapalissiana che emerge dal Libro della Sapienza è che la morte è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo e «ne fanno esperienza coloro che le appartengono». L’invidia del diavolo nasce dalla sua eterna dannazione. Nasce dalla sua intima perversione che lo spinge a gioire quando l’uomo pecca. Gioisce perché sa che l’uomo indurendosi nel peccato perde il dono della salvezza, dono che Dio nella sua infinita liberalità e misericordia ha offerto a tutti gli uomini. Salvezza che a lui, principe tenebroso, è per sempre sbarrata.

A questo punto, possiamo affermare che il Vangelo e il Libro della Sapienza celano tre verità, a noi oggi svelate.

La morte era contraria ai disegni di Dio: la morte «è entrata nel mondo a causa del peccato dell’uomo. Sebbene l’uomo possedesse una natura mortale, Dio lo destinava a non morire. La morte fu dunque contraria ai disegni di Dio Creatore ed essa entrò nel mondo come conseguenza del peccato» (CCC 1008).

Attraversato il tunnel doloroso della morte l’uomo entra in Cielo, realizzazione perfetta di tutte le sue aspirazioni: «Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati, vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio, perché lo vedono “così come egli è” [1Gv 3,2], “a faccia a faccia” [1Cor 3,12] […]. Questa vita perfetta, questa comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità, con la Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati è chiamata “il cielo”. Il cielo è il fine ultimo dell’uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva. Vivere in cielo è “essere con Cristo”» (CCC 1023-1025).

Ma per entrare in Cielo bisogna vivere e comportarsi «da cittadini degni del vangelo» (Fil 1,27). La vera felicità dell’uomo non è in questo mondo, ma nell’altro mondo, in cielo quando possederà Dio e da lui sarà posseduto.

La pagina dei Padri

Cristo è toccato dalla fede – Sant’Ambrogio: Cominciò a sperare in un rimedio che potesse salvarla: riconobbe che il tempo era venuto per il fatto che si presentava un medico dal cielo, si levò per andare incontro al Verbo, vide che egli era pressato dalla folla.

Ma non credono coloro che premono intorno, credono quelli che lo toccano. Cristo è toccato dalla fede, è visto dalla fede, non lo tocca il corpo, non lo comprendono gli occhi; infatti non vede colui che non guarda pur avendo gli occhi, non ode colui che non intende ciò che ode, e non tocca colui che non tocca con fede…

Se ora noi consideriamo fin dove giunge la nostra fede e se comprendiamo la grandezza del Figlio di Dio, vediamo che a suo confronto noi non possiamo che toccare la frangia del suo vestito, senza poterne toccare le parti superiori. Se dunque anche noi vogliamo essere guariti, tocchiamo la frangia della tunica di Cristo.

Egli non ignora quelli che toccano la sua frangia, e che lo toccano quando egli è voltato dall’altra parte. Dio non ha bisogno degli occhi per vedere, non ha sensi corporali, ma possiede in se stesso la conoscenza di tutte le cose.

Felice dunque chi tocca almeno la parte estrema del Verbo: e chi mai potrebbe riuscire a toccarlo tutto intero?

Sperare nella misericordia di Dio – Rabano Mauro: Renditi conto, o carissimo, che il diavolo insinua la disperazione nella preghiera, proprio per sradicare la speranza nella misericordia di Dio, che è l’àncora della nostra salvezza e il fondamento della nostra vita, guida nel cammino, che porta al cielo, onde l’Apostolo dice: “Per la speranza siamo stati salvati” [Rm 8,24].

 

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