Dal libro del profeta Isaìa (49,1-6) – Ti renderò luce delle nazioni: Questo brano fa parte del gruppo di oracoli attribuiti a un Deutero-Isaìa e si riferisce al periodo dell’avvento di Ciro e della sua presa di Babilonia (539 a.C.). Rappresenta il secondo canto del servo sofferente, dove il servo appare scoraggiato per la sterilità del suo operato. Jahvè risponde allargando i confini del suo apostolato oltre il popolo eletto, fino alle genti straniere. La situazione personale del servo sembra rispecchiare quella del popolo di Giuda che, tornato a ricostruire il tempio dopo l’editto di Ciro, si ritrova a dover affrontare molte difficoltà e la povertà di mezzi. I lavori avranno termine grazie all’esortazione di Aggeo e di Zaccarìa.
Dal Salmo 138 (139) – Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda: Sono stupende le tue opere: «Il Padre ha compiuto delle meraviglie terribili e mirabili quando la morte del Cristo è stata accompagnata dalle tenebre, dal terremoto, dalla risurrezione dei morti. E poi la risurrezione del Cristo, la sua ascensione ecc… È la Trinità che ha fatto questo, ma secondo il suo solito il Cristo lo attribuisce alla potenza del Padre, per manifestare la loro unità. Il Cristo conosceva tutta l’opera del Padre, la vedeva nella pienezza della luce divina. Questa conoscenza del Padre per mezzo del Figlio e del Figlio per mezzo del Padre è unica, incomprensibile e inestimabile» (Cassiodoro).
Dagli Atti degli Apostoli (13,22-26) – Giovanni aveva preparato la venuta di Cristo: Il gesto di slacciare i sandali era significativo nell’antico Israele: indicava il diritto di proprietà. Nell’affermazione del Battista, si allude alla legge del levirato (Dt 25,5-10): il parente prossimo di una vedova rinuncia al suo diritto/dovere su lei slacciandosi il sandalo in favore di un altro. Giovanni Battista riconosce in Gesù il vero sposo dell’umanità e non può pretendere di prendere il suo posto.
Dal Vangelo secondo Luca (1,57-66.80) – Giovanni è il suo nome: Lo stupore, la meraviglia per gli eventi straordinari sono ben tesi a manifestare la futura missione apostolica del bambino: come quella del Servo del Signore, avrà il sigillo della sofferenza e del fallimento. A differenza di tanti profeti, Giovanni avrà il felice compito di chiudere le porte dell’Antico Testamento per spalancare agli uomini i battenti del Nuovo. La sua alta missione sarà quella di indicare ad un «popolo che camminava nelle tenebre» (Is 9,1) «la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9): solo «Gesù è la luce vera venuta in questo mondo e che illumina di se medesimo ogni uomo. Giovanni si limitò ad additare a tutti il Sole [Lc 1,79]. Giovanni fu testimone della luce con le parole e con i fatti, con la penitenza, con la santità, con la sua fortezza eroica: “Era una lampada che arde e risplende” [Gv 5,35]» (V. Raffa).
Dal Vangelo secondo Luca
Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui. Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.
Approfondimento
Giovanni Battista – La meditazione dei sapienti ritornerà volentieri su questo brano di storia esemplare: successore di Mosè nella sua missione profetica, Giosuè, secondo il suo nome (ebr. = «Jahve salva») ha salvato gli eletti di Dio (Eccli 46,1). E tuttavia questo primo «Gesù» non era che il pallido abbozzo di un altro salvatore futuro, che a sua volta avrebbe portato lo stesso nome (Mt 1,21). La sua azione non era che un episodio preparatorio nella lunga storia della salvezza (At 7,45); oggi, con Gesù Cristo morto, risorto e asceso al Cielo, al popolo di Dio si è rivelata la vera salvezza. La terra promessa raggiunta da Giosuè non era che una tappa, e non la meta; del re Erode, denunzia l’adulterio e si attira così la prigione, e poi la morte. Per il suo zelo, Giovanni è appunto il nuovo Elia atteso, che deve preparare il popolo alla venuta del Messia (Mt 11,14); ma non è riconosciuto, e il suo martirio annuncia prefigurando la passione del figlio dell’uomo. La testimonianza di Giovanni consiste innanzitutto nel proclamarsi semplice precursore; di fatto la folla si chiede se egli non sia il Messia (Lc 3,15). Ad una inchiesta ufficiale, il Battista risponde di non essere degno di sciogliere i sandali di colui che egli precede e che «era prima di lui» (Gv 1,19-30; Lc 3,16s par.). Colui «che viene», e che battezzerà nello Spirito (Mc 1,8) e nel fuoco (Mt 3,11s), è Gesù, sul quale lo Spirito è disceso al momento del battesimo (Gv 1,31-34).
Proclamandolo agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (Gv 1,29), Giovanni non prevedeva il modo in cui l’avrebbe tolto, come non comprendeva il motivo per cui Cristo aveva voluto essere battezzato da lui (Mt 3,13ss). Per togliere il peccato, Gesù avrebbe dovuto ricevere un battesimo di cui quello di Giovanni non era che la figura, il battesimo della sua passione (Mc 10,38; Lc 12,50); in tal modo avrebbe compiuto ogni giustizia (Mt 3,15), non sterminando i peccatori, ma giustificando la moltitudine di cui avrebbe portato i peccati (cfr. Is 53,7s.11s). Ancor prima della passione, il comportamento di Gesù stupisce Giovanni ed i suoi discepoli che attendevano un giustiziere; Cristo ricorda loro le profezie della salvezza che egli realizza e li invita a non scandalizzarsi (Mt 11,2-6 par.).
Non soltanto certi discepoli di Giovanni ignoreranno a lungo la portata della venuta di Gesù e il battesimo nello Spirito (cfr. At 18,25; 19,2), ma una polemica, di cui il vangelo conserva le tracce (cfr. Mc 2,18) opporrà una setta giovannita alla Chiesa nascente; questa, per dimostrare la superiorità di Cristo, non aveva che da appellarsi alla testimonianza dello stesso Giovanni (Gv 1,15).
Vero amico dello sposo e ricolmo di gioia per la sua venuta, Giovanni si era eclissato dinanzi a lui (3,27-30) e, con le sue parole, aveva invitato i suoi stessi discepoli a seguirlo (1,35ss). Gesù, in cambio, aveva glorificato il suo testimone, lampada ardente e luminosa (5,35), il più grande profeta nato da donna (Mt 11,11); ma aveva aggiunto che il più piccolo nel regno dei cieli è maggiore di lui; collocava la grazia dei figli del regno al di sopra del carisma profetico, senza tuttavia deprezzare la santità di Giovanni. La gloria di questo umile amico dello sposo è proclamata nel prologo del quarto vangelo, che colloca Giovanni in rapporto al Verbo fatto carne: «Giovanni non era la luce, ma il testimone della luce»; ed in rapporto alla Chiesa: «Egli venne per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo suo» (Gv 1,7s).
Commento al Vangelo
Giovanni è il suo nome – I fatti che precedettero e seguirono la nascita di Giovanni Battista sono avvenimenti che esigono necessariamente una interpretazione teologica e per fare questo, come suggerisce Javier Pikaza, è bene tenere a mente che nella natività del Battista sono «interve-nuti due fattori. Da una parte agisce la realtà biologica dei genitori che si amano. Allo stesso tempo influisce in modo decisivo il potere di Dio che guida la storia degli uomini. L’espressione o il segno di questo potere è il miracolo della fecondità dei due anziani, e il risultato è la nascita di Giovanni che seguendo la linea dei profeti d’Israele, prepara in modo immediato la via di Gesù» (Commento della Bibbia liturgica). Se non si tiene conto di questo si corre il rischio di scivolare nel mito o nella favolistica.
Elisabetta, sterile e avanti negli anni (cfr. Lc 1,7), riceve da Dio il dono della maternità, da qui le congratulazioni dei vicini e dei parenti. Nel mondo semitico in genere, la sterilità era un dramma per la donna. Era infatti la peggiore disgrazia che le poteva capitare. Se la procreazione dei figli era collegata alla benedizione di Dio, la sterilità veniva considerata come una maledizione. Rendendo fecondo il grembo di Elisabetta, Dio si era mostrato grande nella sua misericordia con l’anziana donna.
Vennero per circoncidere il bambino… la circoncisione era stata data a Abramo come «segno dell’alleanza» (Gen 17,10).
Il giorno della circoncisione era il giorno in cui un uomo entrava nell’alle-anza partecipando così alla salvezza, diventando in questo modo il segno di appartenenza al popolo d’Israele… Era anche il giorno in cui veniva imposto il nome al bambino che per i semiti aveva un significato intrinseco che era indicato dalla sua stessa composizione, dalla etimologia od era evocato dalla pronuncia.
Il figlio di Elisabetta avrebbe dovuto chiamarsi Zaccaria, come il padre, secondo un’antica consuetudine, ma le cose dovevano andare diversamente perché il nome era già stato imposto da Dio e rivelato a Zaccaria dall’angelo (cfr. Lc 1,12).
Questa opposizione tra la proposta umana e la scelta divina, da Luca è volutamente evidenziata.
Secondo «i progetti umani, il nome dovrebbe ricordare la tradizione familiare, mentre secondo il piano di Dio dovrà ricordare la sua volontà di salvezza verso gli uomini. Per questo il nome del neonato non sarà Zaccaria, come avrebbe suggerito la forza della tradizione e come avrebbe esigito il costume ebraico, ma Giovanni [Jahvé è misericordioso], per un accordo tra Zaccaria e Elisabetta, che non può non meravigliare i presenti ma che, nel contempo, tradisce la volontà dei fortunati genitori di ricordare, tramite il nome scelto, non la loro collaborazione alla nascita del figlio, ma l’iniziativa assoluta di Dio» (Carlo Ghidelli).
Al sentire che il bambino si sarebbe chiamato Giovanni, i presenti, al colmo dello stupore, chiedono con cenni al padre la conferma. Un particolare che suggerisce che Zaccaria, a motivo della sua incredulità (cfr. Lc 1,20), era rimasto sordomuto (nel testo greco si ha kôfos che nei vangeli può significare «sordo» [Lc 7,22] o «muto» [Lc 11,14] o «sordomuto» [Mc 7,32; 9,25]).
Quando l’anziano sacerdote prodigiosamente riprende la parola – gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio (v. 64) -, la gioia dei vicini e dei parenti si muta dapprima in meraviglia e timore, poi in lieto presagio per il bambino sul quale si era posata la mano del Signore. Un’afferma-zione quest’ultima che sta a significare che Dio lo proteggeva ed è quanto viene ripetuto più avanti al v. 80: «Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele». Una frase stereotipata che come ritornello si ripete nell’opera lucana (cfr. Lc 2,40.52; 1,66; At 2,41; 6,7; ecc.).
Luca poi, alla fine, nota che la palestra che preparerà l’austero protagonista della predicazione pubblica sarà il deserto. Luogo impervio popolato da fiere e demòni, ma amato dai profeti e dagli asceti perché è il luogo dove si ci incontra con Dio (Os 2,16) e dove risuona la sua parola.
Riflessione
Che sarà mai questo bambino? – La risposta arriverà molti anni dopo quando Giovanni sarà decollato per la Verità: sarà un martire.
Nell’agenda del Battista, il martirio non era un qualcosa di molto improbabile: ogni giorno che passava, la nube di tragedia che si addensava sul suo capo si faceva sempre più tenebrosa e non soltanto per le sue invettive contro l’adultero Erode. Fin dall’inizio del suo ministero molte delegazioni, come mosche noiose, avevano assediato la sua cattedra: farisei, scribi, dignitari del Sinedrio… ma i maggiorenti della classe religiosa, pur nella capacità di intendere e di volere, per paura e per comodo, non vorranno riconoscere che il «battesimo di Giovanni veniva dal Cielo» (Mt 21,24-27). Quella del Battista era una società religiosa, ma in verità atea: Dio era stato ridotto a una slot-machine per erogare grazie e salvezza ai super consumatori di legge, precetti e codicilli vari.
Questi maestri del nulla esisteranno sempre e sempre si opporranno ai profeti che ‘gridano’ nel deserto del cuore dell’uomo: deserto perché senza valori, senza morale, senza punti di riferimento.
Ora tutti i credenti devono scoprire che la loro primaria vocazione è quella di essere ‘voce che grida’. Avendo Gesù «manifestato la sua carità dando per noi la vita, nessuno ha più grande amore di colui che dà la vita per lui e per i fratelli [cfr. 1Gv 3,16; Gv 15,13]. Già fin dai primi tempi quindi, alcuni cristiani sono stati chiamati, e altri lo saranno sempre, a rendere questa massima testimonianza d’amore davanti agli uomini, e specialmente davanti ai persecutori. Perciò il martirio, col quale il discepolo è reso simile al suo maestro che liberamente accetta la morte per la salute del mondo, e col quale diventa simile a lui nella effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come dono insigne e suprema prova di carità. Perché se a pochi è concesso, tutti però devono essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce durante le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa» (LG 42).
I credenti, come Giovanni, Paolo, Pietro, Francesco, Caterina, Massimiliano Maria Kolbe…, sono Cristi che annunciano all’uomo immerso nel relativismo, e in altra acqua sporca, la perenne verità della vita, della morte e della vita oltre la morte perché se «manca la base religiosa e la speranza della vita eterna, la dignità umana viene lesa in maniera assai grave, come si constata spesso al giorno d’oggi, e gli enigmi della vita e della morte, della colpa e del dolore rimangono senza soluzione, tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione. E intanto ciascun uomo rimane ai suoi propri occhi un problema insoluto, confusamente percepito. Nessuno, infatti, in certe ore e particolarmente in occasione dei grandi avvenimenti della vita può evitare totalmente quel tipo di interrogativi sopra ricordato» (GS 21).
Da qui l’ordine perentorio che Gesù dà alla Chiesa, ad ogni singolo battezzato, di rendere presente e visibile la Verità (cfr. Mt 28,19-20) e ciò «si otterrà anzi tutto con la testimonianza di una fede viva e adulta» (GS 21).
Per i cristiani una fede viva e adulta significherà innanzi tutto non piegarsi al prurito delle novità (cfr. 2Tm 4,3), per cui «nella formazione della loro coscienza, devono considerare diligentemente la dottrina sacra e certa della Chiesa. Infatti per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di verità e sua missione è di annunziare e di insegnare autenticamente la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare autoritativamente i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana. Inoltre i cristiani, comportandosi sapientemente con coloro che non hanno la fede, s’adoperino a diffondere la luce della vita con ogni fiducia e con fortezza apostolica, fino all’effusione del sangue, “nello Spirito Santo, con la carità non simulata, con la parola di verità” (2Cor 6,6-7)» (DH 14).
Carmina non dant panem: la fede non è poesia o sentimentalismo, ma spina dorsale, fermezza, vigoria, sangue, cose che confinano con il martirio.
La pagina dei Padri
Il comportamento di Giovanni – San Gregorio Magno: Quindi, anche Giovanni alle parole di invidia rispose annunziando la vita. Infatti, aggiunge subito: Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete (Gv 1,26). Giovanni non battezza con lo Spirito, ma con l’acqua, poiché, non potendo togliere i peccati, lava con l’acqua i corpi dei battezzati, tuttavia non lava lo spirito col perdono. Perché dunque battezza colui che non rimette i peccati col battesimo, se non perché, fedele alla sua missione di precursore, egli che nascendo aveva prevenuto colui che stava per nascere, prevenga battezzando il Signore che pure si accinge a sua volta a battezzare; e colui che predicando è divenuto precursore di Cristo, battezzando divenga anche suo precursore imitando il sacramento? Egli intanto annunziando il mistero sostiene che il Signore è in mezzo agli uomini e non è conosciuto, poiché il Signore mostrandosi attraverso la carne, è visibile nel corpo ed invisibile nella sua maestà. In merito aggiunge anche: Colui che viene dopo di me fu fatto prima di me (Gv 1,15). Così infatti è detto: fu fatto prima di me, come dire: fu posto prima di me. Dunque viene dopo di me, perché è nato dopo, ma fu fatto prima di me, poiché mi è passato avanti. Ma dicendo queste cose poco più sopra, rivela le cause del fatto che Cristo viene prima, quando aggiunge: perché era prima di me (ibid.). Come se dicesse apertamente: anche se è nato dopo [di me] è più grande di me, per il fatto che il tempo della sua nascita non lo limita. Infatti, egli nasce da madre nel tempo, ma è generato dal Padre fuori del tempo.