19 Giugno 2018 – Martedì, XI del Tempo Ordinario – (1Re 21,17-29; Sal 50[51]; Mt 5,43-48) – I Lettura: “Elìa è inviato ad annunciare la condanna di Acab da parte di YHWH. La punizione del re corrisponde al crimine perfino nei dettagli sanguinosi. Acab si pente, e YHWH prende la decisione di differire la fine della dinastia fino alla prossima generazione. Così i figli di Acab eserciteranno il potere regale: Acazìa e Ioram in Israele, Aralìa in Giuda. Però nessuno di loro avrà successori tra i propri discendenti” (Nuovo Grande Commentario Biblico). Salmo: “Ha pietà della natura colui che ha plasmato questa natura e sa che essa è debole: questa è la misericordia. Quando Dio giustifica, chi potrà condannare? (cfr. Rm 8,31)” (Origene). Vangelo: “Avete inteso che fu detto…”, ogni volta che Gesù comincia un insegnamento con questa espressione è la prova concreta di quanto raccomandava ai discepoli sul non abolimento ma compimento della Legge antica. La seconda parte di questo comandamento; “… odierai il tuo nemico”, non si trova tale e quale nella legge. Questa espressione in una lingua povera di sfumature come l’Aramaico, equivale a: “Non devi amare il tuo nemico”. Espressioni simili, a cui fa riferimento Gesù, si possono trovare in Sir 12,4-7.
Amate i vostri nemici – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo” e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».
Riflessione: «Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». La santità cristiana non è un insieme di opere buone: essere santi, che è il fine della nostra esistenza, non è il risultato di una vita in cui non si è fatto nulla di male. Ma è una vita impegnata attivamente per realizzare il regno di Dio, una vita vissuta per la gloria di Dio, per essere sempre più luce del mondo e sale della terra! (cfr. Mt 5,13). Se non sentiamo in noi il pungolo della santità, se non sentiamo quotidianamente in noi il desiderio concreto di metterci a servizio della gloria di Dio, a servizio della santificazione del prossimo, passando attraverso una vita messa a servizio della Parola, della volontà divina, dove e come egli desidera, nella certezza che egli vuole e vorrà oggi e sempre solo il mio maggior bene per me e per i miei cari, per la mia famiglia e per l’umanità intera. Un desiderio concreto, si diceva, fatto cioè non solo di sospiri, ma pianificato con gesti efficaci e mete ben precise, alimentato dalla volontà, corroborato da una vita ascetica, fatta di scelte oculate, di potature anche dolorose ma capaci di renderci più fruttuosi. La misura della nostra santità non sono i nostri limiti, le nostre paure, il nostro peccato, ma è Dio stesso: la sua santità, la sua perfezione. Essere cristiano mi impone di misurarmi quotidianamente, in un continuo esame di coscienza, con l’amore con cui Dio ama e mi ama. Così ci insegna il Concilio: “I seguaci di Cristo, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Essi quindi devono, con l’aiuto di Dio, mantenere e perfezionare con la loro vita la santità che hanno ricevuto. Li ammonisce l’Apostolo che vivano «come si conviene a santi» (Ef 5,3), si rivestano «come si conviene a eletti di Dio, santi e prediletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di dolcezza e di pazienza» (Col 3,12) e portino i frutti dello Spirito per la loro santificazione (cfr. Gal 5,22; Rm 6,22). E poiché tutti commettiamo molti sbagli (cfr. Gc 3,2), abbiamo continuamente bisogno della misericordia di Dio e dobbiamo ogni giorno pregare: «Rimetti a noi i nostri debiti» (Mt 6,12)” (LG 40).
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Il mio peccato mi sta sempre dinanzi – Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 24 Ottobre 2001): Il Salmo 50 [51] appare: «come un’analisi del peccato, condotta davanti a Dio. Tre sono i termini ebraici usati per definire questa triste realtà, che proviene dalla libertà umana male impiegata. Il primo vocabolo, hattá, significa letteralmente un “mancare il bersaglio”: il peccato è un’aberrazione che ci conduce lontano da Dio, meta fondamentale delle nostre relazioni, e per conseguenza anche dal prossimo. Il secondo termine ebraico è ‘awôn, che rinvia all’immagine del “torcere”, del “curvare”. Il peccato è, quindi, una deviazione tortuosa dalla retta via; è l’inversione, la distorsione, la deformazione del bene e del male, nel senso dichiarato da Isaia: “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre” [Is 5,20]. Proprio per questo motivo nella Bibbia la conversione è indicata come un “ritornare” [in ebraico shûb] sulla retta via, compiendo una correzione di rotta. La terza parola con cui il Salmista parla del peccato è peshá. Essa esprime la ribellione del suddito nei confronti del sovrano, e quindi un’aperta sfida rivolta a Dio e al suo progetto per la storia umana».
Amiamo, perdoniamo, imitiamo Gesù – Benedetto XV (Lettera Enciclica, Pacem Dei Muns Pulcherrimum): Che se talvolta riesce troppo arduo e difficile ubbidire a questa legge, allo scopo di vincere ogni difficoltà lo stesso divino Redentore del genere umano non solo ci assiste con l’efficace aiuto della sua grazia, ma anche con il suo mirabile esempio, poiché mentre pendeva dalla croce scusò presso il Padre coloro che sì ingiustamente e iniquamente lo tormentavano, e disse quelle parole: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». Noi pertanto che per primi dobbiamo imitare la misericordia e la benignità di Gesù Cristo, di cui, senza alcun merito, teniamo le veci, perdoniamo di gran cuore, sul suo esempio, a tutti e singoli i Nostri nemici che, consapevoli o inconsci, ricoprirono o coprono anche ora la persona e l’opera Nostra con ogni sorta di vituperi, e tutti abbracciamo con somma carità e benevolenza, non tralasciando alcuna occasione per beneficarli quanto più possiamo. Ciò stesso sono tenuti a praticare i cristiani, veramente degni di tale nome, verso coloro dai quali, durante la guerra, ricevettero offesa. Infatti la carità cristiana non si limita a non odiare i nemici o ad amarli come fratelli, ma vuole anche che facciamo loro del bene; seguendo in ciò le orme del nostro Redentore, il quale «passò facendo del bene e sanando tutti coloro che erano oppressi dal diavolo» e compì il corso della sua vita mortale, spesa tutta nel beneficare immensamente gli uomini, versando per essi il suo sangue.
Amare i nostri nemici – Papa Francesco (Omelia, 8 Giugno 2013): Io non so «come si possa fare. Ma Gesù ci dice due cose: primo, guardare al Padre. Nostro Padre è Dio: fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni; fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Nostro Padre al mattino non dice al sole: “Oggi illumina questi e questi; questi no, lasciali nell’ombra!”. Dice: “Illumina tutti”. Il suo amore è per tutti, il suo amore è un dono per tutti, buoni e cattivi. E Gesù finisce con questo consiglio: “Voi dunque siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste”». Dunque l’indicazione di Gesù è di imitare il Padre in «quella perfezione dell’amore. Lui perdona ai suoi nemici. Fa tutto per perdonarli. Pensiamo con quanta tenerezza Gesù riceve Giuda nell’orto degli ulivi», quando tra i discepoli c’è chi pensa alla vendetta.
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Speranza del perdono – «… se qualcuno che già è caduto… e serba nella sua coscienza qualcosa di male, volga il suo sguardo alle parole di questo salmo; osservi la grandezza della ferita, ma non disperi della maestà del medico. Il peccato unito alla disperazione, significa la morte certa. Nessuno dica dunque: ho fatto qualcosa di male e ormai sono degno di condanna; Dio non perdona simili colpe; e dunque perché non dovrei aggiungere peccati a peccati? Godrò in questo secolo nel piacere…; ormai ho perduto la speranza della riparazione, e abbia almeno ciò che vedo, se non posso avere ciò che credo. Orbene, questo salmo, come rende attenti coloro che non sono caduti, così non vuole che siano disperati quelli che sono caduti» (Agostino).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Il precetto di Gesù, amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, certamente non è facile da accogliere e da mettere in pratica. Il Vangelo innanzi tutto spiega perché bisogna amare i nemici e pregare per i persecutori: affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Poi indica come si può giungere ad amare i nemici: comportarsi come si è comportato Gesù (cfr. 1Gv 2,5-6). Come la giustizia del discepolo deve superare quella della scribi e dei farisei (Mt 5,20), così la vita del discepolo, coinvolgendo la mente e il cuore, deve superare quella dei pubblicani e dei pagani. Anche il giudaismo conosceva il precetto dell’amore, ma con evidenti differenze con quello proposto da Gesù nelle Beatitudini. Il giudeo faceva riposare il cardine dell’amore su una osservanza scrupolosa, e spesso asfissiante, della Legge, una ottemperanza che a volte distruggeva la vera essenza dell’amore. Possiamo ricordare il rimprovero che Gesù muove ai Farisei: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima… e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle» (Mt 23,23). Se tutto si risolve con l’amore, il precetto di Gesù, certamente non facile, allora non è impossibile; non è impossibile se si pensa che il nemico in verità è un fratello che ha preso strade diverse, e il sangue versato sulla Croce è stato versato per noi peccatori e anche per il “nostro nemico”. In questa luce il nemico è un fratello da amare, da salvare e da ricondurre nella casa del Padre, e questa è la missione che investe ogni credente.
Santo del giorno: 19 Giugno – Beata Elena Aiello, Fondatrice: Nacque a Montalto Uffugo nel 1895 e fin da piccolissima mostrò un’attenzione particolare per il messaggio evangelico. Rimasta orfana di madre si diede da fare per aiutare la famiglia, ma la sua chiamata sembrava essere quella alla vita religiosa nelle Suore del Preziosissimo Sangue. Entratavi come novizia, però, si ammalò gravemente tanto che la congregazione non la ritenne più idonea e la rimandò a casa pensandola prossima alla morte. Invece Elena ebbe un’apparizione di Gesù: le disse che sarebbe stata risanata, ma il Venerdì Santo di ogni anno avrebbe portato sul suo corpo i segni della Passione. E così avvenne: per il resto della vita nel giorno della morte di Gesù avrebbe sudato sangue e sperimentato le stigmate; segni che poi puntualmente scomparivano ogni Sabato Santo. Questa esperienza la spinse a dare vita a Cosenza a una nuova congregazione religiosa, l’Istituto delle Suore Minime della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Nelle regole indicò la Passione di Gesù come riferimento spirituale e la carità testimoniata nella sua terra da san Francesco da Paola come orizzonte quotidiano. Aprì alcuni istituti per gli orfani, ma anche un istituto magistrale per garantire un futuro alle ragazze uscite dall’orfanotrofio. Morì nel 1961 a Roma dove si era recata per aprire una nuova casa.
Preghiamo: O Dio, fortezza di chi spera in te, ascolta benigno le nostre invocazioni, e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto, soccorrici con la tua grazia, perché fedeli ai tuoi comandamenti possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo…