4 Giugno 2018 – Lunedì, IX del Tempo Ordinario – (2Pt 1,2-7; Sal 90[91]; Mc 12,1-12) – I Lettura: La potenza divina di Gesù ha comunicato ai credenti in Lui tutto ciò che è “necessario per una vita vissuta santamente”. Questo vuol dire che il cristiano non ha bisogno delle nuove conoscenze proposte da falsi maestri, perché per mezzo della fede ha già ogni cosa necessaria alla salvezza e alla crescita nella santità. Le parole di Pietro sono estremamente dense, ma comprensibili a chi le legge nello Spirito Santo. Salmo: “Questo salmo profetizza la tentazione del Cristo nel deserto con le fiere. Può applicarsi ad ogni uomo che combatte per il Cristo, ma è vero soprattutto della natura umana assunta dal Verbo” (Eusebio). Vangelo: «C’è dunque un solo e medesimo Dio Padre, che ha piantato la vigna, ha fatto uscire il popolo, ha mandato i profeti, ha mandato il Figlio e ha consegnato la vigna ad altri coloni che gli rendono il frutto al suo tempo» (Ireneo di Lione). La vigna, dunque, è il regno di Dio, i servi sono i profeti, il Padrone-Signore è Dio, i vignaioli sono Israele e i suoi capi e i frutti la fedeltà all’Alleanza. Nel significato allegorico di questa parabola si riassume tutta la storia della salvezza del popolo di Israele.
Presero il figlio amato, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna – Dal Vangelo secondo Marco: In quel tempo, Gesù si mise a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti, agli scribi e agli anziani]: «Un uomo piantò una vigna, la circondò con una siepe, scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Al momento opportuno mandò un servo dai contadini a ritirare da loro la sua parte del raccolto della vigna. Ma essi lo presero, lo bastonarono e lo mandarono via a mani vuote. Mandò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo picchiarono sulla testa e lo insultarono. Ne mandò un altro, e questo lo uccisero; poi molti altri: alcuni li bastonarono, altri li uccisero. Ne aveva ancora uno, un figlio amato; lo inviò loro per ultimo, dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma quei contadini dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra!”. Lo presero, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna. Che cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e farà morire i contadini e darà la vigna ad altri. Non avete letto questa Scrittura: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”?». E cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito infatti che aveva detto quella parabola contro di loro. Lo lasciarono e se ne andarono.
Riflessione: «La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo». Gesù conclude la parabola dei vignaioli con la citazione del salmo 117 (118) che abbiamo riportato. Questo versetto dà luce all’intera parabola, o se vogliamo allargare lo sguardo, dona luce all’intero modo di pensare e di agire da parte di Dio. Cosa vuol dire la Scrittura con l’immagine della pietra scartata dagli uomini è resa pietra portante da Dio? “Vuol dire che Dio è capace di annullare l’azione degli uomini e di capovolgerne il risultato. Gli uomini hanno ucciso suo Figlio, ma Dio l’ha risuscitato: «questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi!». Con questa parabola allegorica, Gesù dà la chiave di lettura della storia di Israele e della storia di ogni uomo, come scontro senza incontro tra la fedeltà di Dio e l’infedeltà dell’uomo. La sua offerta d’amore si trova sempre davanti il muro del nostro rifiuto ostinato. Alla sua crescente bontà corrisponde un crescendo della nostra cattiveria. Sembra proprio un amore infelice, senza possibilità di riuscita. Ma il Signore opera una meraviglia ai nostri occhi, facendo della croce, che è il vertice del nostro male e del nostro peccato, il dono del suo massimo amore e del suo perdono. Noi lo uccidiamo togliendogli la vita, e lui ci fa vivere donandoci la sua vita. La nostra malvagità non vanifica il suo piano di salvezza. Tutto il nostro male e quello della storia umana non fa fallire il disegno di Dio, ma lo compie in un modo più sublime, mostrando il suo potere che è solo e tutto misericordia. Il potere dell’uomo è quello di fare il male dal bene; quello di Dio è di fare il bene dal male. Egli vorrebbe diversamente, ma rispetta la nostra libertà. Egli è Dio proprio perché sa colmare la nostra miseria con la sua misericordia, rispondendo al nostro rifiuto con la sua offerta incondizionata d’amore. È la vittoria della croce, scontro inevitabile, che diventa incontro definitivo. Gesù è il Figlio unigenito che si è fatto servo e ultimo di tutti, dando la vita per noi che gli diamo la morte. Questo è il suo potere: la sua fedeltà al di là di ogni nostra infedeltà” (don L. Pedron). L’atteggiamento di Dio dinanzi al male, la sua risposta, la sua vittoria ci interroga: come agisco e reagisco io dinanzi al male?
La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Gesù si mise a parlare con parabole – Mons. Antonio Riboldi, Vescovo (Omelia, 2 Ottobre 2011): La parabola dei vignaioli omicidi è di un realismo tale che potremmo considerarla come una teologia della storia. L’omicidio è l’apogeo di una infedeltà continua, che nasconde naturalmente ingratitudine. È la storia dell’umanità e quella di ogni uomo, con i nostri limiti, le nostre ingiustizie, la nostra avarizia, le nostre ambizioni. Noi reagiamo spesso così davanti al bene che riceviamo dai nostri simili. Noi agiamo spesso così davanti alla bontà di Dio. Siamo dei cattivi amministratori, che cominciano commettendo il grave errore di credersi padroni del regno e il minimo potere ci disturba, anche quello di Dio, assoluto ma non dominatore. Noi non ci troviamo al posto che dovremmo occupare, e ci piacerebbe vietare l’ingresso nel regno a coloro che vogliono entrarci. L’atteggiamento di Dio differisce completamente dal nostro. Ci ama allo stesso modo; ma non tollera che i suoi figli non mangino il pane che egli offre loro e che per di più si ostinino ad impedire agli altri di mangiarlo. Noi ci sbagliamo in tutto. E proprio quando ci sentiremo più sicuri, verremo privati dei nostri doni, perché non possediamo, anche se lo crediamo, alcuna esclusività. È necessario che scopriamo Cristo come pietra angolare dell’edificio in pietre vive che è la Chiesa, alla quale siamo stati introdotti con il battesimo. Cerchiamo con coraggio di produrre frutti per raggiungere il regno dei cieli.
Un uomo piantò una vigna – Card. Carlo Caffarra (Omelia, 8 Marzo 1996): La parabola è in primo luogo il racconto della storia della nostra salvezza, del rapporto fra Dio e l’uomo. La S. Sacra Scrittura comincia a parlare dell’uomo nel modo seguente: “il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, vi colloco l’uomo che aveva plasmato” (Gen 2,8). È lo stesso inizio della parabola: “Piantò una vigna, la circondò con una siepe… poi affidò la vigna ad alcuni agricoltori”. Ecco l’inizio di tutta la nostra relazione con Dio stesso. L’atto creativo ci costituisce in una relazione piena di grazia, nella quale l’uomo è posto di fronte al suo Creatore, chiamato a produrre frutti di beni e di giustizia. “E se ne andò lontano”: Dio ci lascia liberi, liberi di rispondere al suo amore. Sono così presentati i due “attori” della storia, Dio e l’uomo: una storia che ora comincia ad essere narrata. “Quando venne il tempo del raccolto”: la nostra vita ci è stata donata come un patrimonio da far fruttificare e non da dilapidare. E “i frutti che il Signore della vigna desidera sono il ricordo ed il ringraziamento al Padre che dona e la condivisione col fratello che ha bisogno”. Ma che cosa accade? Accade qualcosa di inspiegabile. Da una parte, da parte dell’uomo, una progressiva chiusura ed un sempre più grande indurimento: “Uno lo bastonarono, un altro lo uccisero e l’altro lo lapidarono”. Dall’altra parte, da parte di Dio cioè, un progressivo esporsi al rifiuto con un amore che non è più capace di contenersi: “Mandò altri servi più numerosi dei primi”. Quale mistero! In quale abisso di misericordia e di ostinazione siamo immersi dalla parola di Dio!
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «La vigna prefigura noi: il popolo di Dio, stabilito sulla radice della vite eterna [cfr. Gv 15,1-6], sovrasta la terra e formando l’ornamento del suolo meschino, ora comincia a far sbocciare fiori splendenti come gemme, ora si riveste dei verdi germogli che l’avvolgono, ora accoglie su di sé un mite giogo [cfr. Mt 11,29], quando è ormai cresciuto estendendo i suoi bracci ben cresciuti come tralci di una vite feconda. Il vignaiolo è senza alcun dubbio il Padre [cfr. Gv 15,1] onnipotente, la vite è Cristo, e noi siamo i tralci [cfr. Gv 15,5]: ma se non portiamo frutto in Cristo veniamo recisi [cfr. Gv 15,2] dalla falce del coltivatore eterno. Perciò è esatto che il popolo sia chiamato la vigna di Cristo, sia perché sulla sua fronte vien posto come ornamento il segno della croce, sia perché si raccoglie il suo frutto durante l’ultima stagione dell’anno, sia perché allo stesso modo che avviene per tutti i filari della vigna, così nella Chiesa di Dio uguale è la misura, e non vi è alcuna differenza tra poveri e ricchi, tra umili e potenti, tra schiavi e padroni [cfr. Col 3,25; Ef 6,8s]» (Ambrogio).
Silenzio / Preghiera / La tua traccia: “Questa allegoria [visto che ogni elemento rimanda compiutamente ad un altro: i contadini sono il popolo eletto, il padrone Dio, il figlio Gesù, gli altri che subentreranno i pagani chiamati al disegno di salvezza], presente in tutti i Sinottici, ha una tale forza che, appena che Gesù ha terminato di parlare, vorrebbero farlo sparire e si fermano solo perché la folla lo ammira. Colpisce la stoltezza dei contadini [allora, i primi chiamati o comunque i farisei e gli scribi che si ritenevano i custodi perfetti della Torah, oggi anche noi?]: come possono pensare che uccidendo l’erede avranno l’eredità? Come possono gettare fuori della vigna l’inviato del padrone della vigna? Il loro gesto li condanna e li esclude. Il padrone rischia: dopo i servi [i profeti] manda il Figlio. È sempre così Dio: è il Padre che accetta l’abbandono del figlio che va a fare una vita dissipata lontano da lui, il seminatore che getta il seme senza risparmio e senza calcolo, il padrone che paga gli ultimi arrivati come i primi… il nostro è un Dio che spende tutto il suo amore, che ci vuole con Lui e felici, è un padre che non si arrende di fronte al rifiuto, alle infedeltà, alle aperte ribellioni. Riflettiamo sull’amore di Dio per noi? Comprendiamo quanto ci cerca e ci incalza, ma anche quanto rischia e ci lascia liberi? E noi come rispondiamo al suo amore?” (Padre Ermes Ronchi).
Santo del giorno: 4 Giugno – San Francesco Caracciolo, Sacerdote: Si chiamava Ascanio Caracciolo e aveva il recapito presso la Congregazione dei Bianchi della Giustizia, che si dedicava all’assistenza dei condannati a morte, dove operava anche un altro sacerdote suo omonimo. Un giorno giunse una lettera, scritta dal genovese Agostino Adorno e da Fabrizio Caracciolo, abate di Santa Maria Maggiore di Napoli. I due si rivolgevano ad Ascanio Caracciolo – ma a quale dei due? – per chiedergli di collaborare alla fondazione di un nuovo Ordine, quello dei Chierici Regolari Minori. Il postino recapitò la lettera al giovane sacerdote, nato il 13 ottobre 1563 a Villa Santa Maria di Chieti e trasferitosi a Napoli a ventidue anni di età per completarvi gli studi teologici. All’eremo di Camaldoli scrisse la Regola, approvata poi nel 1588. L’anno dopo Ascanio emetteva i voti religiosi assumendo il nome di Francesco. Nel 1593 la piccola Congregazione tenne il primo capitolo generale e Francesco dovette accettare per obbedienza la carica di preposito generale. Intanto la congregazione approdava a Roma. Francesco morì il 4 giugno 1608” (Avvenire).
Preghiamo: O Dio, che nella tua provvidenza tutto disponi secondo il tuo disegno di salvezza, allontana da noi ogni male e dona ciò che giova al nostro vero bene. Per il nostro Signore Gesù Cristo…